Novembre 11, 2019
19, 2020

Ero a cena con C. e V. ieri: solita serata che potenzialmente è un incontro tranquillo di chiacchiere tra amici, ma che fortunatamente evolve sempre in confronti su massimi sistemi, concezione della vita, nomadismo, viaggi, futuro, terzi grado reciproci, domande accurate, risposte pensate.
Ma di noi tre e di questo rapporto di amicizia improvviso e mistico, magari ne parlerò un’altra volta.

Mi trovo ora a fissare l’isoletta di Flifla dalle scogliere di Dingli: una roccia sola e selvaggia a poche miglia a sud di Malta.
Vento atroce, sole sulle destra che vorrebbe tramontare, scogliera sulla sinistra, linea dell’orizzonte sul mare, nettissima: ripenso ai discorsi di ieri.

Eravamo tutti d'accordo nel sostenere che, se si sta considerando di spostarsi a vivere altrove, qualcosa nel posto attuale non è ottimale alle proprie esigenze. E fin qua...
L’aspetto però che si fa fatica a considerare positivo è l’aver sperimentato che qualcosa non va. Sperimentare, fare esperienza.

Per esempio: la mia decisione di spostarmi da Malta non può essere paragonata a quella presa in passato di spostarmi a Malta, a causa delle esperienze fatte che hanno generato qualcosa di nuovo e per aver fatto emergere parti di me che non conoscevo prima di arrivare qui.
Mi spiego meglio.

Sono a Dingli, dicevo, e ci sono arrivata dopo cinque chilometri a piedi, perchè il secondo autobus che prevedevo di prendere non sarebbe passato prima di cinquanta minuti. I trasporti maltesi: “che piernu!” (espressione dialettale per esprimere disagio).
Il mio rapporto con i trasporti pubblici, anche prima di trasferirmi a Malta, é sempre stato difficoltoso. Piuttosto che aspettare e sperare ad una fermata del bus, ho sempre preferito metterci le gambe e spostarmi in bici: l’ebbrezza di due ruote, freni e catena.

Così avrei voluto continuare a fare anche qui, prima di interfacciarmi con le infrastrutture e la mentalità molto poco bike-friendly di Malta e aver capito che l’unica ebbrezza che avrei provato sarebbe stata quella delle abrasioni da asfalto sulla pelle.
E per esserne proprio sicura le ho sperimentate per qualche mese!
Quindi sempre poco propensa a aspettare e sperare nel miraggio di un bus all’orizzonte, ho iniziato a spostarmi a piedi.

Per farla breve, camminare ha iniziato a piacermi tanto da, ad Aprile Duemiladiciotto, andare a fare il Cammino di Santiago. Settecento chilometri di sentiero sotto le mie scarpe e le mie crocs cinesi, passo dopo passo. Avrei potuto farlo in bici, ma in quel caso non mi sarei scoperta camminatrice.

Dall’esperienza di un disagio, di un piernu, ho scoperto di amar fare qualcosa che credevo non facesse per me: la lentezza di un paesaggio che cambia, decisa esclusivamente dai tuoi passi, di farlo cambiare.

Ho nostalgia della bici? Ogni giorno.
Sará la prima cosa che comprerò una volta arrivata a Melbourne? Sto giá guardando gli annunci.

Ma aver fatto esperienza che anche due cose diametralmente opposte possono coesistere ed essere entrambe amate, e sapere di dover ringraziare la problematica dei trasporti maltesi per questo, mi fa sorridere tanto.

E ora, mentre il vento tenta con tutte le sue forze di separare lo schermo dalla tastiera del mio pc, mi chiedo a quali esperienze andrò in contro in Australia che mi porteranno a scoprire parti di me, doti o doni, che non avevo idea potessero essere miei. Magari scopro che la mia fobia per i serpenti in realtà non esiste? Me lo auguro enormemente.

Freschetto qui. Continuo a camminare.
A domani.