Camminavo verso casa stasera, dopo la palestra, in uno stato che definirei di beatitudine.
Giornata in ufficio andata, allenamento non previsto ma fatto per il solo piacere di farlo, doccia fatta, casa vuota ad aspettarmi dopo la partenza J. la mia coinquilina, mare calmissimo sulla mia sinistra, temperatura fresca della sera, Musica nelle mie cuffie.
Levante, ancora e solo lei, unica artista esistente nel mio Spotify questa settimana.
Mi imbatto nei suoi album più vecchi: tutte canzoni che conosco e che ho ascoltato, ma non cosí tanto di recente da ricordarmene l’ordine di riproduzione, e sapere, in quel silenzio tra due brani, quale sará il prossimo in arrivo.
La mia attesa viene interrotta da una chitarra acustica, inconfondibile intro di Mela, canzone di Bianco cantata con Levante.
Mi viene da sorridere all’istante.
Sono settimane ormai che l’emozione si presenta a me e io posso solo manifestarla fisicamente.
Come in questo momento, in cui sorrido da sola, dal nulla, per strada, con le mie cuffie a volume alto che non mi fanno sentire se quello che sto cantando é un sussurro o un grido forte.
Si ricostruisce nella mia testa il momento in cui ho ascoltato per la prima volta quella canzone: Giugno Duemilaquindici, Torino, tre della notte circa, sala studio dei Murazzi lungo il fiume Po aperta anche di notte, in una delle mie folli nottate di studio pre sessione d’esami, con lo Spotify di allora che tentava di tenere alta la mia attenzione e le mie palpebre, proponendo alle mie cuffie Musica che potesse interessarmi.
E la mia attenzione si destò davvero quando Levante, che cantava quella canzone con il nome corto e strano, Mela, nominò i Muri, abbreviazione dei Murazzi, il luogo esatto in cui mi trovavo io.
Mi piacque un sacco.
La ascoltai più volte e ancora una, mentre, per rientrare a casa, slegavo la mia bici dalle due catene che la tenevano legata ad un palo davanti l’aula studio.
Quella notte c’era l’acqua alta e silenzionsa del Po alla mia sinistra, il fresco notturno di inizio estate di Torino e Musica nelle mie cuffie.
Ma il mio volto era accigliato, forse per il sonno, sicuramente per il pensiero di non farcela con gli esami e per altre punture di spillo che mi tormentavano.
Sapendo che quella sessione d’esami l’avrei poi superata e, insieme a quella, ricucito, curato e rattoppato tutti i buchi e gli strappi di quel tempo e di quello futuro, stasera, ritornata con un salto temporale nelle mie scarpe del presente, ho sorriso un sacco.
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